Appassionato di multivisione da tempo, sono consapevole che la presentazione delle fotografie "agli altri", necessita di attenzione.
Non ritengo sia necessario stupire, quanto considerare che gli altri non hanno vissuto con noi il momento della ripresa.
Il momento della realizzazione di una fotografia è composto della sequenza degli istanti prima, durante e dopo il momento della pressione del pulsante di scatto che consistono in:
1) la preparazione e l'entusiasmo per una attività ( ricerca naturalistica, viaggio, ricordo, evento, approfondimento, ecc. );
2) l'intensità emotiva del momento dello scatto, quando cioè abbiamo coscienza di una particolare luce, di un soggetto disposto in modo singolare e/o semplicemente di un accadimento o di una casualità di linee che abbiamo visto;
3) la consapevolezza di essere stati protagonisti volontari o meno di quell'unico momento nel tempo e nello spazio dal quale abbiamo ricevuto la grazia di un'ispirazione e la gratificazione di una immagine che (visto che vogliamo mostrarla) in qualche modo ci soddisfa.
Come far partecipare quindi lo spettatore o più semplicemente colui che è chiamato ad osservare le nostre immagini?
Ricreare il momento?
Non è ovviamente possibile, né auspicabile altrimenti ogni nostro "vissuto" sarebbe teoricamente riproducibile all'infinito e con questo si ridurrebbe a qualche cosa di poco significativo, in particolare per noi stessi.
Creare effetti che stupiscano?
Certo aiuterebbero a coinvolgere, tuttavia potrebbero interessare lo spettatore più del contenuto stesso che stiamo proponendo loro, vanificando ancora una volta, il valore del nostro lavoro: cioè sempre noi stessi.
Posso offrire un'idea o un suggerimento vincenti?
Non credo proprio, sarei presuntuoso e inefficace per la gran parte delle situazioni, se non per quasi tutte.
Allora?
Presentare le proprie fotografie vuol dire presentare un po' di sé stessi, vuol dire svelare le proprie emozioni, significa "condividere" (dividere con) qualcosa di intimamente nostro e non semplicemente un punto di vista.
Bastano queste consapevolezza e disponibilità (che attenzione, non sono proprio poca cosa) per consentire, qualsiasi sia il mezzo che si vuole adottare, di ottenere una "presentazione" che appunto "rappresenti" chi la propone.
Facile?
No, per niente!
Una cosa difficile è vincere la riservatezza e presentare noi stessi come siamo, nella semplicità o ricercatezza del nostro pensiero.
Una cosa difficile è riconoscere le nostre caratteristiche e "come" vediamo noi stessi e i nostri soggetti.
Una cosa difficile è avere consapevolezza dei contenuti "visti" nei nostri soggetti, per poter almeno provare a comunicarli agli altri.
Una cosa difficile è accettare che se vogliamo che la nostra fotografia parli agli altri, dobbiamo darle il permesso di farlo.
Cosa può aiutare?
Ognuno ha il proprio percorso da fare, ma importante è provare a mostrare le proprie immagini, facendo fra queste una accurata selezione, eliminando quelle che rappresentano emozioni e significati troppo personali e poco condivisibili e presentarle con il valore aggiunto di "noi stessi" attraverso parole e/o pensieri nostri, espressi nel modo ritenuto più opportuno (un testo, una poesie, semplici frasi, un commento, una musica, ecc.).
Inoltre, vedere, vedere e ancora vedere, cosa e come gli altri propongono il loro lavoro.
Vedere mostre fotografiche, proiezioni, serate ci porta a conoscere non solo nuove fotografie, ma nuove persone, nuove idee e nuovi concetti.
Vedere le presentazioni altrui e osservare con obiettività, farà riconoscere come e quando, la presentazione trasmette quel valore aggiunto che va al di là di una semplice serie di immagini.
Perché scrivo questo?
Ho da poco vissuto come semplice visitatore un bellissimo festival internazionale di fotografia naturalistica a Montier En Der (Francia): uno spettacolo di immagini!
Tanti fotografi presentavano foto eccellenti, su argomenti e temi orientativamente molto vicini fra loro.
La fotografia naturalistica, pur con l'infinita varietà di interpretazioni e punti di vista possibili, spesso si occupa di soggetti che il nostro occhio fatica a riconoscere come "diversi" da altri; perché scelto un animale o qualche tipo di fiore, questo difficilmente si discosta in modo evidente da un altro esemplare della stessa specie; e comunque, quasi sempre non è la differenza anatomica/strutturale del soggetto che colpisce, ma il suo atteggiamento, la sua ambientazione o il modo in cui viene ripreso.
E' quindi molto importante il taglio fotografico, il punto di vista, l'idea, la luce particolare, la personalità di chi fotografa oltre che le abilità più "tipiche" del naturalista, cioè la conoscenza dei soggetti.
Inoltre, pur con le enormi differenze che l'interpretazione fotografica consente, a mio parere è contato molto anche il modo in cui ogni fotografo ha presentato le proprie immagini: a volte con contorno, a volte a bordo vivo, talvolta inserite in un contesto o in un percorso guidato, a volte con didascalie o poesie, ed anche nella massima semplicità dell'immagine sola e pulita.
Ogni fotografo, nel proprio spazio esponeva solo alcune stampe della propria produzione, con una selezione nella selezione che spesso proponeva alla vendita per coprire le spese di esposizione, e le loro scelte evidenziano gusti e preferenze all'interno di una produzione che comunque gli appartiene e li caratterizza.
I biglietti da visita, un dettaglio trascurabile all'apparenza, hanno una infinita varietà di tipologie e la loro scelta a volte è ben percepita come ragionata per continuare la presentazione di sé stessi, talvolta invece si comprende come invece siano visti solo come mero strumento utile a conoscere un nome e sito web.
Alcuni, oltre alle stampe proponevano proiezioni, libri, gadget, omaggi o semplicemente la loro persona più o meno evidente a dimostrazione di come tanto siamo diversi gli uni dagli altri, e di come utilizziamo il "noi stessi" in ogni cosa che facciamo e nell'attenzione che mettiamo a questa.
E' affascinante "immaginare" le personalità dei fotografi guardandoli attraverso le loro foto e il valore che viene loro attribuito attraverso la presentazione.
E' stato un piacere vedere tutta questa originalità e questo coraggio nell'esporre sé stessi attraverso il proprio lavoro o la propria passione.
L'invito, che faccio a me stesso e ai causali lettori che parteciperanno a questa semplice riflessione è quello di voler mettersi in gioco, anche se talvolta ci può sembrare non ne valga la pena, perché ogni persona è ricca di originalità e indipendentemente dalle competenze e dalla bravura, se si mette in discussione ha qualcosa da offrire agli altri.
Mettersi in discussione vuol dire non aver paura di mostrare, ma nemmeno voler mostrare tutto, perché mettersi in discussione con gli altri, così nelle parole come nelle fotografie, vuol dire "estrarre" il meglio di noi stessi, e ovviamente il "meglio" delle nostre immagini.
Il coraggio di osare, porta con sé il genio, la forza e la fantasia(cit): quindi coraggio!
La nostra grande sorpresa ... siamo "sempre" noi stessi!
P.S.:
Una cosa ancora mi sento di dire, una piccola considerazione fuori dal coro, e sicuramente solo una opinione personale da appassionato qual sono.
Gli stand più appariscenti, più evidenti, sicuramente anche i più belli ad un giudizio immediato e quindi spesso i più frequentati, evidenziavano il grande studio e la grande cura nella loro preparazione: una evidente strategia di marketing ben pensata e ben eseguita.
Li ho apprezzati tantissimo, bei lavori, belle esposizioni; una gioia per gli occhi e per il cervello: ma il cuore, è sempre stato colpito più dagli altri, più semplici, più umani, più vivi, più autentici; dove forse la "professionalità" era meno evidente, ma la "passione" molto di più!